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Recensione di: RCL - Ridotte Capacità Lavorative

08/12/2010 | Recensioni |
Recensione di: RCL - Ridotte Capacità Lavorative

Quando si affrontano le tematiche del lavoro, del precariato o delle lotte sindacali, nel cinema non si può fare a meno che ricorrere al documentario d’inchiesta. E se invece parlassimo di Pomigliano d’Arco e dei lavoratori della Fiat usando il linguaggio della fantascienza, dove l’Arcangelo Gabriele è Shakira, il pianeta si chiama Lapo, il Predicatore è Nino D’Angelo che scende da un’astronave eruttata direttamente dalla bocca del Vesuvio, e nel finale viene giocata una “felliniana” partita di calcio riconciliante fra operai della Fiat di Pomigliano e quelli della Tichy in Polonia? In fondo molte delle cose che si sono verificate nelle fabbriche italiane hanno un no so che di fantascientifico… Paolo Rossi, insieme ad Alessandro Di Rienzo e il regista Massimiliano Carboni, sceneggiano questo instant-film sui sopraluoghi di un lavoro che, sconsolati, già capiamo non verrà realizzato, e lo fanno interrogandosi sulle vicende di  cronaca di un paese del Mezzogiorno, vessato dall’essere stato mutato in un polo industriale; aspetto che ne ha modificato non solo la sana cultura contadina pre-Boom Economico, ma persino l’assetto urbano. L’alienazione che i lavoratori operai sono costretti a sovrastare quando vengono impiegati nella catena di montaggio, viene paragonata al camminare su una scala mobile nel verso contrario alla sua andatura e, contemporaneamente, continuare a lavorare. Emblematica di questo aspetto è sicuramente la testimonianza di un operaio in pensione che, dopo quindici anni, continua a sognare di essere dominato da quel “meccanismo”. Charlie Chaplin in “Tempi moderni” ci mostrò con assoluta lungimiranza questo squilibrio dell’industrializzazione, ed infatti viene ingaggiato dalla troupe  come protettore ed ispiratore dell’Idea. Il film adotta un linguaggio cinematografico non convenzionale per raccontare la realtà, riprendendone il “back stage”. Se i cartelli finali trasudano l’assenza del benché minimo conforto, la didascalia “To be continued” ci fa sperare che il racconto non sia esaurito…

Serena Guidoni

 


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